Il treno dei bambini di Viola Ardone. Einaudi 2019

Napoli 1946. Amerigo ha sette anni, è povero, molto povero. Vive con la sola madre in un basso buio e umido. È autunno, inizia a fare freddo e la città è ancora assediata dalla miseria lasciata dalla guerra. Ma per i bambini delle famiglie povere si sta aprendo una possibilità di benessere che però passa attraverso il dolore della separazione. E le madri sole come Antonietta, le famiglie povere come tante in quel periodo sono disposte a qualunque cosa per i loro figli. Alcune donne girano per i bassi, parlano con le madri. Ci sono famiglie del nord Italia che sono disponibili ad accogliere i loro bambini per un periodo di tempo, un anno scolastico. Loro, le madri, non devono temere nulla perché queste famiglie buone non solo accoglieranno i loro bambini, li nutriranno, li vestiranno e li manderanno a scuola, ma li tratteranno come figli loro. È il partito comunista a dare vita a questa iniziativa poco conosciuta. Così Amerigo con tanti suoi amichetti poveri come lui sale sul treno dei bambini che va verso Bologna. A Modena lo aspetta una famiglia amorevole e affettuosa, molto particolare, comunista fino alle midolla. L’anno scolastico passa in fretta, passano in fretta i calcoli di matematica che sono la vera forza di Amerigo, passa il momento della scoperta della musica e della predisposizione a suonare il violino... Passa il benessere del cibo abbondante, degli abiti in buone condizioni, delle scarpe senza buchi. Al termine dell’anno scolastico Amerigo si ritrova sul treno dei bambini che fa ritorno a Napoli. Ma quei mesi a Modena lasciano il segno. Tutti i bambini del treno dei comunisti restano segnati da quell’esperienza che li ha fatti uscire dai confini ristretti della loro povertà facendo scoprire loro attitudini allo studio, amore per l’arte, desiderio di riscattarsi dalla propria povertà. E tra questi bambini e le famiglie di accoglienza il legame creatosi durante quei mesi non solo non si scioglie, ma si consolida sempre più col passare degli anni. Una storia tenera, delicata, coinvolgente, sapientemente raccontata dall’autrice con un linguaggio vicino a quello di un bambino di sette anni. Perché è proprio Amerigo a raccontarci la sua storia, prendendoci per mano fin dalle prime parole e tenendoci letteralmente incollati a se fino all’ultima pagina.

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