La luna e i falò di Cesare Pavese, prima edizione Einaudi 1950

Romanzo breve e intenso, intimo e lirico. Una scia di ricordi inseriti fra eventi che non tracciano una vera e propria trama ma che sembrano apparentemente staccati e privi di nesso. Il filo conduttore infatti, è proprio il flusso di ricordi che scandisce i giorni che Anguilla trascorre al proprio paesino di origine. Dopo essere stato per anni in giro per l'America a far fortuna, Anguilla torna fra le langhe piemontesi, in una campagna che lo aveva visto nato e subito abbandonato dalla madre, cresciuto in una famiglia non sua, senza veri affetti e senza una vera casa alla quale appartenere. Al paesino ritrova Nuto, suo amico di infanzia e soprattutto una realtà sempre uguale, nonostante la guerra, le lotte partigiane, i tanti morti ammazzati tra quelle montagne. Siamo alla fine degli anni 40. Anguilla ha cercato altrove un posto da poter definire casa ma non lo ha trovato. Tornato nell'unica campagna che non aveva considerato mai casa propria si rende conto che dopo tutto ognuno ha bisogno di ritrovare le proprie radici, di avere un posto nel mondo. Quella terra aspra e dura è la sua terra. Non si può rimanere indifferenti alla scrittura di Pavese, al suo modo sapiente di accostare le parole. Le descrizioni liriche ed evocative dei paesaggi ci accompagnano fra le vigne dall'"odore rasposo", o fra i tigli dall'odore penetrante, o nelle antiche feste di paese, immutate da secoli, tra i falò accesi e il rosso insanguinato della luna. Un romanzo dai tratti autobiografici, venato da una sottile malinconia e da una inquietudine sempre presente. La stessa inquietudine del carattere di Cesare Pavese, un uomo solo e tormentato, in bilico tra legami sentimentali fallimentari, amori non corrisposti, attività politiche che in epoca fascista gli sono costate anche il carcere e il confino... Attività in cui in realtà lui non era affatto coinvolto pur essendo un antifascista. E nonostante le sue molteplici attività di scrittore e traduttore di capolavori americani, di poeta e insegnante, nonostante i riconoscimenti e gli apprezzamenti della critica, Pavese non sopravvive alla depressione che lo logora. Soprattutto non sopravvive al suo non essere riuscito ad amare se stesso, in un contesto in cui ognuno gli passava accanto lasciando nel suo animo ipersensibile segni e ferite.

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