L’ottico di Lampedusa di Emma Jane Kirby, Salani 2017

Carmine è un oculista cinquantenne che 25 anni fa lasciato Napoli per trasferirsi definitivamente nella bella e tranquilla Lampedusa. Ma Lampedusa, tanto suggestiva da essere Italia pur sembrando Africa, non e più così calma e tranquilla da quando il flusso di migranti si è intensificato in seguito alla primavera araba. Carmine sente parlare della sua Lampedusa in tv e in radio, incontra per strada gruppetti sempre più numerosi di migranti spauriti mentre fa jogging. Però Carmine e uno di noi. Anche se vive a Lampedusa, il dramma dell’immigrazione non lo coinvolge in prima persona. Apprende dei naufragi e delle condizioni precarie in cui questi sventurati vengono trasportati dalle coste libiche alle nostre dal divano di casa propria. Finché il dramma non lo colpisce da vicino. Ai primi di ottobre del 2013 Carmine si concede una breve vacanza in barca insieme a sua moglie e ad altri sei amici. Il 3 ottobre alle sei del mattino, il galata è in mare aperto. Sta per iniziare una nuova giornata di pesca e relax. Carmine è in coperta con una tazza di caffè in mano mentre il sole sorge sull’acqua. Tutto intorno è pace... tranne per un forte stridere di gabbiani. Carmine ne è quasi infastidito. Tutti sentono le grida... Si chiedono cosa succede. Guardano il cielo che li sovrasta, scrutano il mare sotto di loro… Finché li vedono. Non sono gabbiani, ma centinaia di uomini. La superficie del mare è disseminata di corpi e di mani che si tendono in una disperata richiesta di aiuto. Carmine e i suoi amici agiscono subito. Afferrano mani, abbrancano spalle… come un’affiatata squadra di soccorso traggono in salvo 47 migranti su una piccola barca che può contenere al massimo 12 persone. Tuttavia è un naufragio tremendo e quasi 400 persone non ce la fanno. Tra esse tante donne e bambini. Le lacrime e la disperazione di chi ha visto morire in mare mogli, figli, fratelli, cambieranno per sempre la vita di questi otto amici. Un libro che ci presenta una realtà fin troppo attuale in modo lirico e profondamente umano mettendo l’accento sulla dignità di questi uomini e donne che arrivano in Italia senza più nulla.

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