Dove non mi hai portata. Mia madre, un caso di cronaca di Maria Grazia Calandrone, Einaudi 2022

Nell’estate del 1965 un uomo e una donna arrivano a Roma. Hanno con loro una bambina di otto mesi. Dopo aver abbandonato la bambina nel parco di Villa Borghese, concludono la loro esistenza nel Tevere. Quell’uomo e quella donna si chiamano Giuseppe e Lucia e quella bambina abbandonata e successivamente adottata si chiama Maria Grazia Calandrone. Questo racconto biografico che si fa anche cronaca di eventi sotterrati dal tempo che ha fatto il suo corso per più di cinquant’anni, ripercorre la vita soprattutto di Lucia. Una ragazza con tanta voglia di vivere e di amare, costretta suo malgrado ad un matrimonio che le dà solo violenze e povertà. Così Maria Grazia Calandrone, da poetessa e scrittrice qual è, decide di regalare a coloro che l’hanno generata qualcosa che ne riscatti la memoria e soprattutto la dignità. E quale cosa migliore del racconto della loro vicenda? Sulle tracce della madre biologica, a contatto con le testimonianze di coloro che in giovinezza l’avevano conosciuta, la Calandrone ritrova la donna che l’ha data alla vita. Una donna che ha avuto la forza di sfidare violenze, povertà, convenzioni e che l’aveva desiderata dal primo momento in cui si era resa conto di portarla in grembo. Anche se era stata concepita con un uomo che non era suo marito, un uomo che per stare con lei aveva lasciato la sua famiglia, un uomo che con lei aveva cercato di crearsi una vita altrove. Ma la legge di quegli anni puniva severamente la donna che tradiva, abbandonando per di più il tetto coniugale. Un racconto struggente, una scrittura poetica, corposa, commuovente, coinvolta. Una cronaca di un più che probabile doppio suicidio avvolto tuttavia dal velo del tempo che non permette di avere la certezza assoluta di come sono andate veramente le cose. E pure la Calandrone le sue risposte le cerca e le trova, negli articoli dei giornali di quei giorni, nella lettera che i genitori mandano al giornale L’Unità. Quello che è certo è che due genitori sono stati costretti ad abbandonare la loro bambina a cui non potevano garantire alcun futuro. L’hanno abbandonata decidendo di non portarla con loro, dove loro avevano probabilmente pianificato di andare proprio per garantire a quella stessa bambina una vita migliore. Queste pagine mi hanno davvero coinvolta, scossa, afferrata. Perché non si può sfuggire ad un racconto tanto reale e partecipato. Non si può non lasciarsi interrogare da vicende simili, come non si può non provare una grande tenerezza per questa ragazza, Lucia, che dalla vita ha avuto solo dolore e sofferenza. Tra i dodici candidati allo Strega di quest’anno, spero vivamente di trovare questo titolo nella cinquina finalista che sarà annunciata tra qualche settimana.

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